mercoledì 18 aprile 2007

Il Maestro Konishi Sensei


Abbiamo appurato, nonostante circolino convinzioni diverse e citazioni inopportune ed errate, che il Karate non ha, nelle sue origini, niente in comune con il Bushido dei samurai e che le sue origini Okinawensi non lo accomunano naturalmente al Budo giapponese, ma sono state delle azioni che hanno trovato ragione in un periodo storico particolare e nell’intrecciarsi dei destini di persone quali Kano per il Judo, Funakoshi per il karate e Ueshiba per l’Aikido.
Ma andiamo per ordine.
Abbiamo visto come Sensei Funakoshi arrivò in Giappone per effettuare alcune dimostrazioni di karate, nel 1917 e nel 1922, e fu in contatto con Jogoro Kano, che anzi lo invitò proprio a realizzare una dimostrazione al Kodokan di Tokyo, cui seguì un grosso successo dal punto di vista della comunicazione e del seguito.
Nel 1924 Funakoshi contattò Yashuhiro Konishi, Maestro di Kendo e di JuJutsu, e gli chiese di poter usare il suo Dojo nelle ore libere per praticare il karate. Konishi non solo accordò il permesso, ma chiese a Funakoshi di insegnargli il karate.
Konishi ebbe poi come istruttori di karate anche Choki Motobu e Kenwa Mabuni, fondatore dello Shito-Ryu. Anzi, si narra che - essendo Konishi in buone condizioni economiche – abbia anche aiutato finanziariamente questi Maestri Okinawensi di Karate.
Ho citato in altra parte di questo libro dell’introduzione, da parte degli allievi di Funakoshi dell’Università di Keio, del significato di ‘vuoto’ nel termine kara di karate, con un significato di ispirazione Zen.
Konishi, uno dei primi allievi di Funkoshi a ricevere i Dan, ritenne che se il karate avesse voluto essere accettato dalla comunità del Budo avrebbe dovuto essere parte del Dai Nippon Butoku-kai, l’organizzazione che unificava le arti marziali del Giappone.
Konishi usò la propria influenza politica e l’importanza che aveva assunto nella comunità del kendo, per fare accettare dal Butoku-kai il karate come parte del Budo giapponese e per fargli rilasciare certificati ufficiali attestanti i gradi ottenuti.
Così per la prima volta nel 1935 il Butoku-kai insignì Konishi del titolo di Karate-do Kyoshi e nel 1941 conferì lo stesso titolo a Chojun Miyagi a Sannosuke Uejima e il titolo di Renshi a Funakoshi, Mabuni, Otsuka, Shimoda, e altri 19 Maestri.
Nei preparativi della guerra contro gli Stati Uniti, Funakoshi, Motobu, Mabuni, Otsuka e Konishi allenarono nelle scuole militari, e il Budo assunse principalmente la funzione di dare ai soldati la forza di affrontare la paura della morte, riprendendo quello che lo Zen era stato per i Samurai.
Nel 1926, l’Imperatore Showa (Hirohito) era salito al trono all’età di 25 anni. Ma il movimento di destra e l’influenza dei militari nella politica avevano spinto il Giappone sempre più al di fuori delle regole democratiche e il sistema parlamentare virò verso il militarismo, il totalitarismo e l’espansionismo, fino al controllo militare sul Parlamento.
Nel 1942 il regime militare s’impadronì del Dai Nippon Butoku-kai e lo trasformò in una organizzazione del Budo di carattere militare. Ma questa nuova veste dell’organizzazione fallì l’obiettivo perché le singole federazioni del Budo non la supportarono. La Guerra, poi, rese impossibile tenere seminari e competizioni.
Nel secondo dopoguerra le forze di occupazione americane in Giappone, guidate dal Generale MacArthur, fecero introdurre una serie di riforme tra le quali il disarmo dell’esercito, una nuova Costituzione, riforme terriere, cambiamenti nel codice legale e altre. Venne sciolto anche il Dai Nippon Butoku-kai e tutte le arti marziali vennero messe al bando, ad eccezione del Sumo.
Intanto, il Maetro Konishi e il suo Ryobu-kan , sopravvissuti a una Guerra che aveva distrutto gran parte del Giappone, si attivò per far riprendere le attività di kendo e di karate-do. Kyoshi Yamazaki, trasferitosi nel 1969 negli USA, racconta che quando entrò al Ryobu-kan nel 1956, a sedici anni, c’erano circa 50 adulti che vi praticavano il kendo e il karate-do.
La concezione del Budo di Konishi fu certamente influenzata dalla sua esperienza nel Kendo.
I documenti ufficiali dello Zen Nippon Kendo Renmei/All Japan Kendo Federation[1] spiegano che “Lo scopo della pratica del Kendo è formare la mente ed il corpo, coltivare uno spirito forte ed attraverso un addestramento corretto e severo sforzarsi di progredire nell’arte del Kendo, tenere in considerazione la cortesia e l’onore, associarsi agli altri con sincerità e ricercare per sempre il perfezionamento di se stessi. In questo modo si sarà capaci di amare il proprio Paese e la società, di contribuire allo sviluppo della cultura e di promuovere la pace e la prosperità tra i popoli.”
E’ evidente in queste parole il diverso livello tra i contenuto “esistenziale” della cultura Zen che ho trattato nella prima parte di questo libro e il livello “educativo”, tra lo “strumentale” per la pratica del kendo e il “comportamentale”, di questa definizione.
Dovremmo tenerne conto, specie noi occidentali che ci prestiamo così spesso a facili confusioni, quando richiamiamo con un po’ troppa leggerezza la parole Budo.
Teniamo quindi a mente la nostra pratica del Karate-do, sostituendola alla parola Kendo, e vediamo quali sono gli elementi del concetto di Kendo

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